La pieve di Santa Maria Assunta a Cellole, “una delle più importanti pievi romaniche risalenti al XII secolo esistenti nel territorio” della Valdelsa – secondo il giudizio del professor Antonio Paolucci –, è situata nel comune di San Gimignano (il cui territorio si trova in provincia e, per gran parte, in diocesi di Siena), all’interno del magnifico paesaggio delle colline della Valdelsa. Parrocchia, insieme con Libbiano, della diocesi di Volterra, la pieve romanica sorge non distante da uno dei tracciati collinari della via Romea/Francigena, a quattro chilometri da San Gimignano.
I resti ritrovati nel territorio di Cellole, così come il suo stesso nome (dall’etrusco cela, “piccolo luogo sacro”), testimoniano l’origine etrusca dei primi insediamenti locali. Ancora oggi la parte più profonda delle cantine della canonica ha mantenuto l’aspetto di una grotta scavata nel tufo, in origine probabilmente una tomba etrusca.
La pieve di Santa Maria Assunta a Cellole, “una delle più importanti pievi romaniche risalenti al XII secolo esistenti nel territorio” della Valdelsa – secondo il giudizio del professor Antonio Paolucci –, è situata nel comune di San Gimignano (il cui territorio si trova in provincia e, per gran parte, in diocesi di Siena), all’interno del magnifico paesaggio delle colline della Valdelsa. Parrocchia, insieme con Libbiano, della diocesi di Volterra, la pieve romanica sorge non distante da uno dei tracciati collinari della via Romea/Francigena, a quattro chilometri da San Gimignano.
I resti ritrovati nel territorio di Cellole, così come il suo stesso nome (dall’etrusco cela, “piccolo luogo sacro”), testimoniano l’origine etrusca dei primi insediamenti locali. Ancora oggi la parte più profonda delle cantine della canonica ha mantenuto l’aspetto di una grotta scavata nel tufo, in origine probabilmente una tomba etrusca.
L’intero complesso della pieve romanica è composto di una serie di fabbricati edificati nel tempo intorno al nucleo originario della chiesa, a ridosso della pieve stessa e formanti un cortile chiuso da un muro con porta. Addossato alla chiesa, sul lato nord, vi è anche un oratorio che, ridotto nel tempo a magazzino e garage, è stato ora riportato all’uso originale di luogo di preghiera.
Di fronte alla chiesa, a fianco del boschetto di cipressi, si trova un piccolo edificio adibito a magazzino e abitazione, con ampia aia. A distanza di poche decine di metri è situata una casa colonica, detta “Alleluia”.
Carico di memoria, di bellezza e di pace, questo luogo è munito anche di un minuscolo cimitero che riposa sul dorso della collina. Il complesso della pieve è circondato da ampi terreni, che storicamente le appartengono, alcuni dei quali coltivati a uliveto e a vigneto di vernaccia e chianti dei colli senesi. I lavori di restauro in vista della ripresa della vita monastica sono stati condotti sotto l’alta sorveglianza della sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Siena e Grosseto.
L’intero complesso della pieve romanica è composto di una serie di fabbricati edificati nel tempo intorno al nucleo originario della chiesa, a ridosso della pieve stessa e formanti un cortile chiuso da un muro con porta. Addossato alla chiesa, sul lato nord, vi è anche un oratorio che, ridotto nel tempo a magazzino e garage, è stato ora riportato all’uso originale di luogo di preghiera.
Di fronte alla chiesa, a fianco del boschetto di cipressi, si trova un piccolo edificio adibito a magazzino e abitazione, con ampia aia. A distanza di poche decine di metri è situata una casa colonica, detta “Alleluia”.
Carico di memoria, di bellezza e di pace, questo luogo è munito anche di un minuscolo cimitero che riposa sul dorso della collina. Il complesso della pieve è circondato da ampi terreni, che storicamente le appartengono, alcuni dei quali coltivati a uliveto e a vigneto di vernaccia e chianti dei colli senesi. I lavori di restauro in vista della ripresa della vita monastica sono stati condotti sotto l’alta sorveglianza della sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Siena e Grosseto.
Le prime testimonianze su questa pieve, che ci riportano ai tempi della chiesa indivisa alla fine del primo millennio, risalgono a due carte datate 949 e 1011: a quel 2 tempo risulta che la chiesa fosse dedicata a san Giovanni Battista. Dal 1034 in poi la chiesa di Cellole appare dedicata a Maria Assunta, e a partire dalla fine del XII secolo si hanno contemporaneamente notizie sui lavori alla chiesa, sui suoi rettori e i suoi annessi. Della pieve si ha notizia storica dal 1190, con l’inizio della costruzione della chiesa, traslata nel sito attuale da una precedente ubicazione più a valle, a una distanza di non più di un quarto di miglio verso ovest, dall’allora pievano Ildebrando, come si legge in un’iscrizione sulla chiave di volta dell’arco vicino al campanile della pieve: REMOTA FUIT H. PLEBS A. MCXC IN I[S]TA FACTA TEMPORE ILD. PLE. Due altre iscrizioni confermano l’origine della pieve all’inizio del XIII secolo.
Una, ancora oggi leggibile su una delle colonne centrali, testimonia la prima conclusione dei lavori: F.A.D.M.C.C.XXX.III VIII. ID IUNII (“Fatto nell’ottavo giorno dopo le idi di giugno del 1233”), mentre un’altra, visibile sulla facciata, a sinistra del portone d’ingresso, riporta la data ufficiale del termine dei lavori, protrattisi per quasi cinquant’anni: A.D. MCCXXXVIII CONSUMATIO PLEBIS (“1238, compimento della pieve”). Successori di Ildebrando nel XIII secolo furono Aloigi (per un breve periodo), Valenzo, Martino e Dando. Al tempo di Valenzo, intorno al 1254-1260, venne fusa la campana maggiore della chiesa, recante l’iscrizione che ricorda i nomi del campanaro e del pievano; questa è ancora presente insieme a una seconda, del ‘400. Stabilmente inserito nel distretto sangimignanese, il piviere di Cellole contava intorno al 1300 ben venti chiese o cappelle suffraganee.
La pieve manteneva la funzione battesimale e forniva il crisma e l’olio santo ai preti delle cappelle per gli usi sacramentali. Il pievano veniva eletto dal clero della pieve e delle chiese del territorio, cui il popolo dava il consenso; il vescovo confermava l’elezione e istituiva canonicamente l’eletto. Dell’esistenza della pieve si ha notizia in una decina di pergamene conservate nell’Archivio di stato di Siena, datate fra il 17 giugno 1232 e il 2 agosto 1254, interessanti testimonianze riguardo a vari episodi relativi alla “casa dei lebbrosi (mansio leprosorum) situata presso la detta pieve”, gestita da una comunità di fratelli e di sorelle e presieduta da un rettore, anch’essi lebbrosi. Particolarmente preziose risultano due carte, contenenti decreti normanti la vita della comunità.
La prima, datata 15 dicembre 1240 (nr. 65), contiene un decreto del pievano Ildebrando che, nella sua funzione di direzione del lebbrosario, prescrive agli uomini e alle donne – al rettore Bonavoglia, ai fratelli conversi Michele di Giunta e Perino, e alle sorelle converse Diamante, Cossetta, Galliana e Richelda – l’obbedienza ai superiori, per evitare ogni scandalo e per mantenersi nella concordia, raccomada loro di evitare 3 ogni parola ingiuriosa e ordina di consegnare al rettore tutte le loro proprietà e tutto ciò che avessero raccolto di offerte, mettendolo in comune con gli altri fratelli e sorelle. La seconda, datata 5 luglio 1250 (nr. 174), contiene una Regola imposta da Ildebrandino, pievano di Cellole, al rettore e ai fratelli della casa dei lebbrosi situata presso la detta pieve, per l’amministrazione e la vita interna del lebbrosario.
In essa si raccomanda che i fratelli e le sorelle “vivano in perfetta fratellanza, carità e pazienza”, non permettano alcuna alienazione, osservino i digiuni, preghino nelle ore determinate, mangino in comune, onestamente dormano gli uomini e le donne senza sospetto e offesa; che il rettore provveda affinché essi vivano fraternamente (fraternaliter), e in particolare provveda ai più aggravati; che non si mescolino ai sani né lavino la loro roba alla fonte dei sani, portino la tonsura, si confessino una volta al mese, tengano un nunzio sano per ricevere le elemosine, e che Matteo [il rettore], Bonavoglia, Ugolino e Bonafemmina obbediscano a tali comandi sotto pena di scomunica. Inoltre, su una veduta del complesso pievano di Cellole fatta da Ettore Romagnoli e conservata nella Biblioteca degli Intronati a Siena, c’è una nota a mano che dice: “Nel 1375 era ospizio di frati”. Legata alla casa per lebbrosi di Cellole è la luminosa figura di san Bartolo (Bartolomeo) Buompedoni da San Gimignano (1228-1300). Abbandonata la casa paterna, il giovane Bartolo entrò nel convento benedettino di San Vito a Pisa, ove si legò di filiale devozione a un santo vecchio monaco, di nome Paolo ; questi lo presentò all’abate del suo monastero, che accolse il giovane e gli affidò la cura degli infermi.
Benvoluto dai monaci, Bartolo si disponeva a prendere l’abito benedettino, quando, in seguito a un’apparizione, decise di entrare invece nel terz’ordine francescano a Volterra. In seguito ordinato presbitero, Bartolo all’età di circa cinquant’anni si ammalò di lebbra. Deciso nel servire Dio attraverso il conforto dei lebbrosi, soffrendo con loro e come loro, Bartolo va a vivere, insieme al discepolo san Vivaldo, nel luogo che accoglie i suoi compagni di disgrazia respinti dalla società, il lebbrosario di Cellole, e lì trascorre gli ultimi vent’anni della sua vita, assumendo dal 1293 la carica di rettore della pieve. Isolato, ma presto conosciutissimo, da tutti viene subito chiamato “il Giobbe della Toscana” per il suo modo straordinario di vivere la sofferenza legata alla sua malattia.
Le spoglie di Bartolo sono conservate nella chiesa di Sant’Agostino in una cappella monumentale fatta erigere dal comune di San Gimignano e compiuta fra il 1488 e il 1494 da Giuliano e Benedetto da Maiano, autore quest’ultimo dei ricchi bassorilievi raffiguranti alcuni episodi salienti dell’agiografia del santo. Il culto di 4 Bartolo, sempre vivo in San Gimignano e riconosciuto nel 1523, fu confermato da Pio X nel 1906. Dell’esistenza di un edificio pievano adibito a ospizio per lebbrosi e pellegrini si hanno dunque notizie antiche. Se però l’evidenza dell’impianto basilicale della chiesa e i suoi elementi tipologici chiaramente riferibili a uno stile romanico d’impronta pisana/volterrana non lasciano dubbi sulla sua origine, per gli altri edifici pievani tale antichità non è così evidente né attestata dalle fonti storiche. Si deve infatti supporre che fra la fine del 1700 e la fine del 1800 la pieve e gli edifici ad essa collegati siano stati profondamente trasformati. La chiesa stessa sembra avere subito rilevanti trasformazioni: l’abbattimento del campanile, portato al centro dell’attuale canonica (1879), e l’esaltazione dei “primitivi” caratteri romanici attraverso la distruzione degli altari barocchi che nel XVIII secolo si erano sovrapposti a quelli romanici originali e al completo rifacimento del tetto (1920). Gli ultimi interventi di restauro e di consolidamento della chiesa sono stati effettuati negli anni 1980, quando si è provveduto anche alla ripavimentazione.
La pieve romanica di Cellole è rivolta a oriente, con le aperture poste su questo lato dell’edificio, affinché la luce all’alba possa penetrare all’interno. La chiesa, di impianto basilicale a pianta rettangolare, ha una lunghezza di circa trenta metri e una larghezza di circa quindici; è composta da una navata centrale e due laterali, con un’abside di tipo semicircolare. Dietro l’abside, da un piccolo uliveto è possibile ammirare, in linea retta, le torri di San Gimignano.
L’interno della chiesa, di grande semplicità, armonia e nitore, presenta undici colonne e due pseudocolonne (incassate nella muratura), a sostegno di sette arcate a tutto sesto che, dando all’insieme una luminosa armonia, separano le tre navate e sorreggono la copertura, rifatta molte volte nel tempo, con capriate e orditura in legno e manto in cotto. Il pavimento è in cemento con inerti color cotto.
La facciata a capanna è preceduta da un umile boschetto di cipressi, che accompagnano l’ingresso alla chiesa e che furono ripiantati uno per ciascuna delle famiglie della parrocchia in seguito ai restauri del 1879 durante i quali erano stati abbattuti. È questa una testimonianza importante, perché attesta la straordinaria iniziativa di partecipazione all’intervento di restauro da parte dei fedeli.
Tutt’attorno lo 5 sguardo può spaziare dolcemente sulle colline senesi, nella quiete e nel silenzio meditativo. Sulla facciata vi è un portone d’ingresso sormontato da un arco cieco e da una bifora, ai lati due finestre monofore alte e sottili. Decorazioni geometriche e floreali scolpite su archetti, capitelli e mensole del portone e della bifora ornano sobriamente la facciata; una pietra con inciso un motivo floreale e un’iscrizione a sinistra della porta, insieme a due teste in tutto tondo, sono visibili ai lati della bifora. Sul fondo, dietro il presbiterio, si apre un’abside semicircolare con copertura a volta; al centro dell’abside, sopra il coro, vi è una finestra monofora. Al centro delle tre navate, in fondo, troviamo l’altare maggiore posto sopra un presbiterio delimitato da due soglie e due gradini in pietra.
Il fonte battesimale è oggi collocato a sinistra della porta d’ingresso ed è costituito da un unico blocco di pietra di forma ottagonale. Le pareti sono in muratura di pietre a vista (calcari e arenarie), con conci ben squadrati e lavorati e con sobri elementi architettonici; nell’abside vari archetti “sorreggono” la volta. Sui capitelli delle colonne e dei pilastri troviamo scolpiti motivi geometrici, floreali e antropomorfi; nell’abside numerosi fregi riccamente decorati in bassorilievo con motivi geometrici, floreali e zoomorfi che trasmettono un vivace senso pittorico; su due colonne affreschi quattrocenteschi con santi, tra i quali sant’Antonio abate.
Coordinate geografiche: 43.4848356, 11.0058583
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